In sight: Tiger mask W, bello sicuramente ma…



Uno degli anime della scorsa stagione che hai seguito con maggiore attenzione è stato senz’altro Tiger Mask W, nuova serie dell’indimenticabile Tiger Mask – Uomo Tigre per tutti coloro che l’hanno visto in Italia negli anni ’80 e hanno apprezzato l’intramontabile sigla griffata Nico Fidenco, non proprio l’ultimo degli ultimi – di fine anni ’60 – fumetto dal 1968 al 1971; serie animata fino al 1971 – che di suo aveva già avuto un seguito abbastanza rivedibile ad inizio anni ’80 – Tiger Mask 2 del 1981 -. 

Naturalmente l’hai accolto con particolare entusiasmo, da fan nostalgico dell’Odissea di Naoto Date e Mister X, per dirne 2 soltanto. Però, a conti fatti, hai qualcosina da dire. 

Cosa? Dopo la pausa. 


Sicuramente funziona grosso modo la trama che vede il giovane Naoto – guarda i casi: stesso nome del protagonista originario – cercare di prendersi una sonora rivincita contro una rinata Tana delle Tigri che ha posto fine con un sol colpo alla Hippangu, la Federazione di wrestling del padre dell’amico Takuma pur esso coinvolto nella vicenda. E allora uno viene allenato da Takaoka che, smessi i panni di Diavolo Giallo per Tana delle Tigri, ora si diletta a riparare motorini ma ha conservato la sede degli allenamenti di Naoto Date presso il Monte Fuji; l’altro decide che proprio è il caso di agire dall’interno e diventa discepolo di Tana delle Tigri. Dentro questo motivo principale si innestano storie d’amore – e guarda caso la dolce infermierina si chiama Ruriko, come colei che gestiva l’orfanotrofio nella serie originaria -, allenamenti, ricerche di mosse finali, divertenti siparietti pseudo comici – con un Fukuwara Mask, ex di Tana delle Tigri, sugli scudi - e quant’altro.

Però…ti manca un attimo l’atmosfera disperata dell’origine, probabilmente figlia di una diversa visione delle cose che caratterizzava la società Japponica di fine anni ’60, piena di contraddizioni, di dubbi, di tristezza dopo una disfatta piuttosto sentita al termine della Seconda Guerra Mondiale. Perché da quel periodo ne è passata di acqua nell’Oceano Pacifico: c’è stato il boom elettronico ad esempio che ha un attimo risollevato la situazione economica consentendo una moderata – oh, sempre Japponici sono, non si esagera mai – fiducia nel futuro. Ed ecco che allora se l’Uomo Tigre originario seguiva uno schema molto semplice che contemplava una prefazione, una identificazione del problema, un combattimento cruento come soluzione allo stesso e poi un finale che lasciava molto spesso l’amaro in bocca sia pure risolvendo la situazione, questo nuovo Tiger Mask W sembra infinitamente più leggero. Sia a livello qualitativo – inteso come situazione delle singole puntate – sia a livello quantitativo – inteso come numero di puntate realmente drammatiche: poche e decisamente intervallate da molte altre più spensierate in cui, ad esempio, si fanno spettacolini per comunità di vecchiardi o gare a chi riesce ad arrivare prima ai dolci di una ridente località Japponica -; è, in altri termini, figlio di una situazione economico sociale molto meno pressante e non fa trasparire quella drammaticità che la serie originale non mancava in ogni singolo episodio di presentare. 


La stessa sceneggiatura dei singoli episodi, per il motivo suddetto, cambia: sono non molte le puntate in cui si passa alle mani dopo la costruzione dell’antefatto; poche delle stesse raggiungono il livello di feroce violenza che ricordavi. Va da sé che anche la nuova e maggiore consapevolezza presso il pubblico del wrestling come spettacolo più che come sport – ben rappresentata dalla GWM, la Great Wrestling Monopoly, Federazione di Tana delle Tigri e dal plot che nella parte finale va a ricalcare in pieno l’Invasion della WCW alla allora WWF – influisce: di certo, comunque, non si assiste più a secchiate in testa – qualche sediata al massimo – oppure classici struscii degli occhi dell’avversario sulle corde. Il sangue c’è ancora ma il tutto assume una connotazione molto più reale: le stesse mosse dei vari wrestlers – pochi in realtà anche se tutto sommato discretamente caratterizzati - sono chiaramente mutuate dalla lotta reale lasciando che solo le finisher siano piuttosto inverosimili ma comunque plausibili. Scompaiono poi gli allenamenti in alta montagna contro orsi e affini oppure le interminabili giornate appesi a testa in giù nel Ponte di Tana delle Tigri: si ragiona di più con la testa e la mossa finale viene coniata attraverso semplici sedute in palestra dopo che l’idea sorge in base alla semplice discussione con altri addetti ai lavori. E’ meno drammaticamente irreale e più piacevolmente verosimile. 

Nonostante questo cambiamento di rotta, devi ammettere che ti piace. L’ispirazione dei nuovi wrestler agli antichi – Maschera Rossa di Morte; le varie Tigri; Demone Giallo etc. -; la maggiore attenzione al backstage e all’aspetto organizzativo del mondo del wrestling – stesura della lista degli incontri; rapporti politici tra le varie Federazioni ora su scala mondiale con la presentazione anche della Federazione Messicana; vendita dei gadget degli atleti etc. - ; pure qualche puntata dedicata al wrestling femminile – a parte l’ultima che sarà pure stata divertente ma decisamente poteva essere evitata lasciando come degna chiusura quella precedente -; tutti aspetti che hai decisamente gradito. 



Il colpo di sorpresa principale è stato decisamente lo smascheramento di Naoto nella terz’ultima puntata; ti ha lasciato un po’ l’amaro in bocca però il mancato smascheramento invece di The Third nella penultima. Hai gradito decisamente il maggiore focus sulle vicissitudini interne di Tana delle Tigri, con la dimostrazione degli allenamenti e soprattutto delle punizioni cui sono soggetti i perdenti – la sorta di percorso della morte è stato, assieme allo scontro finale tra New Japan Pro Wrestling e GWM, il momento migliore della serie -. 

Figlia dei notevoli progressi tecnologici da 40 anni a questa parte, la grafica appare molto migliore si, ma anche senza quel carattere tagliente e grezzo che esaltava i contenuti. Qualche tocco di Computer Grafica non ha stonato; tuttavia ti rimane carissimo quel disegno spiazzante con quei forti contorni neri e quei colori cosi poco nitidi che contribuivano a rendere l’esperienza suggestiva. 

E arrivi alla soundtrack. Ottima l’idea di riproporre una versione moderna della sigla originale; la sigla di chiusura – King of The Wild – ti piace molto con quel semplice slide di chitarra che la ritma e quel flauto che le da la melodia. 


Promosso? Si. All’altezza dell’originale? Ni. 

In sight: Tiger mask W, bello sicuramente ma… In sight: Tiger mask W, bello sicuramente ma… Reviewed by radish7 on 07:00 Rating: 5

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