Blair Witch: un videogame per un brand storico



Blair Witch: in breve una saga che ha portato qualcosa di nuovo a basso costo nella cinematografia, mostrando come con pochi soldi ma buone idee si possano ottenere comunque dei risultati acclamati dal pubblico e dalla critica. Così, nel 1999, esce – preceduto da un poco noto “Curse of the Blair Witch” una quindicina di giorni prima –  The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair, interessante sotto molteplici punti di vista tra cui l’essere un mockumentary – ossia un falso documentario – ed essere interamente girato con una telecamera a mano senza ausilio di effetti speciali o montaggi di sorta. 

Seguono a stretto giro di posta una novel – “The Witch's Daughter” ossia “La figlia della Strega” -, un fumetto“Blair Witch: Dark Testaments” ossia “Blair Witch: il Testamento Oscuro” - , una trilogia di videogame del 2000 – “Blair Witch Volume I: Rustin Parr”; “Blair Witch Volume II: The Legend of Coffin Rock”; “Blair Witch Volume III: The Elly Kedward Tale” – e poi un secondo film“Book of Shadows: Blair Witch 2” – e un sequel diretto dell’originale - Blair Witch di Adam Wingard del 2016 -. Insomma un brand di successo. 

Ed ecco che nel 2019 un studio polacco – Bloober Team che comunque in curriculum avrebbe anche Layers of Fears, quindi non proprio gli ultimi arrivati – decide di pubblicare anche Blair Witch, videogioco survival horror ispirato all'omonima saga ma con una storia inedita che si colloca poco dopo la sparizione dei campeggiatori del film originale e di farlo distribuire dalla Lionsgate - mica ciufoli -. E proprio su questo vuoi spendere un paio di parole. 


Cominci proprio dalle cose che ti sono piaciute di meno. 

Partendo dal fondo i 5 finali – di cui uno segreto – non fanno certo sobbalzare sulla sedia. Si gioca nei panni di Ellis, ora poliziotto dopo aver avuto un passato problematico tra un’infanzia non facile in una casupola nella foresta di Burtketville, un arruolamento nell’esercito con perdita tragica dei suoi commilitoni e una relazione d’amore con Jess decollata ma poi spentasi miseramente. Il suo compito è quello di unirsi alle ricerche del piccolo Peter Shennon, sparito misteriosamente nella foresta nel 1996: la fai facile e dici che la Strega di Blair giocherà con le sue paure mai superate e alla fine lo indurrà a scegliere se unirsi a lei come sua longa manus oppure uccidersi. Di 5 finali 4 sono uguali a due a due variando solo il comportamento e la sorte del fidato amico a quattro zampe Bullet; uno è segreto e non è che poi dia tutta sta emozione. Prevedibili, troppo corti – dureranno due minuti comprese righe di spiegazione finale – e dannatamente uguali. 

E se sei partito dal fondo, retrocedi di poco per notare come l’intera parte finale, un vagabondare nella casa in cui Ellis ha vissuto la sua infanzia connotato dalle illusioni della Strega che la rendono una sorta di labirinto, duri troppo: più di un’ora sempre nello stesso luogo. E’ solo un esempio per mostrare la pecca generale del videogames: le ambientazioni sono fatte sicuramente bene trasmettendo senso di oppressione, i giochi di luce ed ombre sono ben pensati e vi traspare inquietudine, la grafica in generale – comprese la animazioni del protagonista, dei nemici, degli NPC e del cane – funziona a dovere ma i luoghi sono dannatamente pochi. Una foresta – con soventi ripetizioni di schermate giustificate dal fatto che è la strega a confondere la mente del protagonista e sostanzialmente a riportarlo sempre nello stesso luogo di partenza - , alcune auto abbandonate a se stesse, un paio di capanni e infine la casa finale; a questa pochezza si aggiunge pure che il gioco consente un’esplorazione molto limitata dei vari ambienti – poi ci torni - configurandosi piuttosto come un lungo binario preimpostato e che gli enigmi sono pochi e nemmeno troppo complicati. Deludente, devi dire. 

A questo aggiungi che il gioco è tutto fuorchè complicato: a memoria ricordi solo un caso in cui la sfida diventa complicata – una fuga stealth al buio completo da un mostro – e vi è possibilità di morire; tuttavia bastano pochi tentativi – perché sì, c’è comunque la componente del trial and error che permette di ripetere subito la scena fallita senza dover riprendere da chissà dove – per superarla. 



Ma ci sono anche cose buone

Ad esempio le meccaniche di gioco non ti sono dispiaciute. Il protagonista può infatti contare su un walkie talkie con cui tiene le comunicazioni con gli altri ricercatori, un cellulare – nokia vecchio stampo, siamo nel 1996, un bel tocco – perfettamente funzionante con cui effettuare e ricevere chiamate, controllare gli sms, persino giocare a snake – oh, la messaggistica istantanea era di là da venire -, una videocamera con molteplici funzioni – illuminare, identificare sagome di nemici in rosso e di altri esseri viventi non pericolosi in bianco, riprodurre videocassette che possono essere trovate lungo il percorso, allontanare presenze poco piacevoli usandola in sostanza come arma di luce – una torcia – necessaria per illuminare i luoghi oscuri e per allontanare nemici ombra -; soprattutto sull’aiuto del suo fidato cane Bullet. Questa meccanica in particolare funziona bene: Bullet infatti individua oggetti notevoli – sostituendo in sostanza lo scintillio presente in altri giochi -, ti guida lungo il percorso, evidenzia eventuali minacce; il suo comportamento è strettamente legato alla maniera in cui viene trattato – carezze frequenti e biscottini lo rendono felice e quindi più attivo – e deve essere anche protetto – sa trovare ma non gestire le situazioni – per evitare un finale non proprio felice. 



Piacciono pure le fonti da cui si traggono le informazioni in game. Documenti, foto e soprattutto videocassette possono essere trovate lungo il percorso con la pecca di essere davvero complicate da missare data la scarsa esplorazione prevista. In particolare le videocassette assumono il ruolo di sorta di “premonizioni” per nulla piacevoli che mostrano cosa potrebbe succedere al protagonista e quali azioni lui potrebbe compiere oppure forniscono degli indizi su come risolvere i vari enigmi. 



Se il gameplay ha pecche ma comunque può soddisfare e se la trama invece appare piuttosto scialba, la componente horror invece funziona molto bene. L’ambientazione comunque suggestiva grazie a foreste che si tingono di tinte scure spezzate da improvvisi lampi secchi di luce rossa, a capanni diroccati e sporchi in cui l’agguato è sempre dietro l’angolo, a mezzi di trasporto arrugginiti; gli screamer che giocano più sul sonoro che sul visivo; la sfocatura dei luoghi come segnale della visione compromessa del protagonista; talune immagini piuttosto forti come lo scuoiamento di un cervo; la camera - che in un gioco in prima persona che fa dell’immersività la sua forza – sempre ben pensata; infine la presenza di qualche elemento survival – come le piccole scene di fuga stealth – completano un’esperienza buonissima nel suo complesso. 


In definitiva un’esperienza non certo fallimentare in cui però la parte puramente visiva e sensitiva prevale di gran lunga su una trama invece un po’ troppo prevedibile e su un gameplay un po’ avaro di buone soluzioni. E con questo hai finito e te ne vai dalla foresta.

Blair Witch: un videogame per un brand storico Blair Witch: un videogame per un brand storico Reviewed by radish7 on 07:00 Rating: 5

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