Escape Room: un po’ the Cube, un po’ Saw e un po’ Battle Royale




La moda delle Escape Room sta ormai spopolando ovunque nel mondo: detta in soldoni si tratta di recuperare indizi e risolvere enigmi in una stanza o in più stanze successive chiuse al fine di uscirne vivi. Detta un po’ meno in soldoni la/le stanza/e vengono di frequente preparate a tema e infarcite di particolari alquanto suggestivi in maniera da creare una storia in cui il giocatore deve immedesimarsi facendogli credere di correre pericoli – anche mortali – nella realtà ovviamente inesistenti. Ecco: cosa accadrebbe però nel caso in cui l’ultima parte della frase precedente non fosse necessariamente vera? 

La risposta è grossomodo Escape Room, un film del 2019 diretto da Adam Robitel, della durata di circa 1 ora e 20 minuti. Pronti a superare 5 stanze una dopo l’altra? Si va. 


1 – La trama 

A Chicago, alcuni personaggi di buona volontà con qualche trauma e qualche problemuccio di varia natura nelle loro vite si vedono recapitare una scatola nera con invito personalizzato; devono trovare la maniera di aprirla per poter così partecipare ad una escape room esclusiva che mette in palio ben 10000 dollaroni per chi riesca a vincere. 

La scelta degli invitati, come si viene a scoprire alla fine, non è affatto casuale: si tratta di persone che sono già scampate a dei pericoli mortali in varia maniera ed il gioco non è altro che il puro divertimento di alcuni riccastri che vogliono scoprire chi possa essere definito “il sopravvissuto dei sopravvissuti”, scommettendoci pure sopra. 

Spoiler da ultima stanza: due rimarranno vivi, scopriranno la macchinazione, uccideranno pure il game master – cioè colui che organizza il gioco su richiesta dei committenti riccastri –, stranamente ed inspiegabilmente la faranno franca con la polizia – forse perché assieme al luogo della escape room verrà fatto sparire anche il corpo dell’ucciso – e, non contenti, dopo 6 mesi si incontreranno per recarsi a New York e ulteriormente mettere i bastoni tra le ruote agli organizzatori che nel frattempo, visto che loro progettano di volare nella Grande Mela, stanno felicemente preparando una stanza a tema aereo che si schianta. 



2 - La struttura 

Dopo il preambolo iniziale e una volta arrivati i protagonisti nell’escape room, la struttura del film si presenta alquanto schematica: entrata nella stanza, ricerca indizi, risoluzione enigma/i, recupero della chiave che apre la porta della stanza successiva, fuga a tempo dal momento in cui la chiave viene recuperata, sacrificio/morte di uno dei protagonisti, uscita dalla stanza all’ultimissimo secondo disponibile, via nuova stanza e repeat. 

Sembrerebbe alquanto semplicistico e furbo, ma il tutto viene poi sapientemente infarcito con dettagli che piacciono alquanto. Ogni stanza è infatti modellata vagamente sul passato di uno dei protagonisti – mai quello che vi muore che invece hai dei flashback piuttosto esplicativi - e sulla vicenda che li ha visti sopravvivere ed ogni pericolo è collegato a quello originariamente superato con una sorta di delicata legge del contrappasso; emerge abbastanza chiaramente il divertimento dei sadici milionari che tentano di mettere in competizione i partecipanti con scarsità di risorse – un solo giubbotto al freddo polare; una sola siringa con l’antidoto per due persone -; ogni stanza e ogni dialogo diventano spunto per indagare carattere e temperamento dei protagonisti, dando così un sottile risvolto socio-psicologico alla trama. 

Piace e non poco e ci aggiungi pure che il ritmo è di quelli giusti, mixando abbastanza bene le varie componenti nell’ora e venti minuti a disposizione. 



3 – Le stanze 

Modellate, come già detto, vagamente sul passato dei protagonisti, presentano una discreta varietà di ambientazioni anche se non moltissima di indizi ed enigmi. 

Dal primo punto di vista avremo una stanza forno, seguita da una foresta ghiacciata, quindi una sorta di pub musicale sottosopra ed una camera di ospedale in rovina per finire con una stanza di inventore – che contiene pure l’ironica scritta “Acta est Fabula” ossia “Il dramma è finito” - : in tutti i casi l’ambientazione è ottima, sembra davvero di essere nei posti ricostruiti. 

Dal secondo invece la costruzione appare piuttosto semplificata: alla fine si tratta pure sempre di ritrovare una chiave che permetta l’uscita ma tanto gli indizi quando gli enigmi sono pochi e non particolarmente complicati. Nella stanza “forno” basterà trovare e interpretare nella maniera corretta un biglietto scritto dal fantomatico Dr. Wootan Yu – che si scoprirà poi essere un semplice anagramma di “No Way Out”, un bel tocco -; in quella “foresta” si dovrà prima sbloccare un lucchetto a combinazione numerica per uscire dal capanno, quindi semplicemente mettere la mano nella bocca di un orso finto per recuperare quanto serva per ottenere un cubo di ghiaccio da sciogliere per la chiave; in quella “pub musicale” occorrerà ricomporre un mosaico per arrivare al codice morse che fornisce la combinazione del tastierino numerico con cui sbloccare la serratura in cui inserire la chiave a forma di palla n. 8; in quella di ospedale – e questo è interessante – bisognerà collegare qualcuno con battiti cardiaci non superiori a 50 per minuto per sbloccare la porta; in quella della realtà statica si dovrà aprire una botola soltanto ma poi trovare anche l’antidoto al veleno che questo aveva comportato; infine nell’ultima l’indizio sarà visivo – varie figure le cui posizioni riecheggiano quelle delle lancette di un orologio – per muovere un complesso lucchetto salvo che poi il tutto non si rivela nemmeno necessario. 

4 – Ispirazioni 

Ne vengono alla mente davvero parecchie nonostante non si possa essere certi siano altrettanti spunti dell’autore. 

In primis il gioco delle persone che devono aprire delle stanze risolvendo enigmi ricorda molto Saw con cui condivide anche la possibilità di morire – e difatti accade – per il perverso piacere di un game master salvo che in questo caso non c’è soluzione che permetta di salvare tutti i partecipanti e quindi si configura come ancora più sadico; a questo, sotto il medesimo profilo, va aggiunto il tentativo di far competere persone in maniera violenta per le scarse risorse che richiama anche Battle Royale seppure in contesto completamente diverso. Il continuo monitoraggio inconsapevole ricorda un perverso e diabolico Truman Show ed ancora più, anche per la componente di studio socio-psicologico, The Cube con cui condivide infine anche la presenza di pericoli nelle varie stanze e la scelta oculata dei protagonisti, ciascuno dotato di una qualità spiccante e di debolezze caratteriali altrettanto evidenti. 



5 – Il finale 

No, mica quello del film. Intendi proprio i titoli di coda che, oltre a sfoggiare una colonna sonora abbastanza evocativa, ripercorrono in CGI gli enigmi, gli indizi, i frammenti delle scene più interessanti quasi a voler costituire una sorta di riassuntone finale per lo spettatore e a richiamarlo a riflettere su quanto appena visto. Nulla di geniale od originale, eh: però devi dire che, anche per la grafica accattivante, ti è piaciuto. 


In definitiva un più che discreto film horror, con la giusta durata ed il giusto ritmo; nulla di originale o memorabile ma piacevole. Per chi voglia ecco la scatola nera con l’invito.


Escape Room: un po’ the Cube, un po’ Saw e un po’ Battle Royale Escape Room: un po’ the Cube, un po’ Saw e un po’ Battle Royale Reviewed by radish7 on 07:00 Rating: 5

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