Devilman Crybaby: bene ma…



Quando una piattaforma come Netflix si lancia nel mondo dell’intrattenimento di Japponica memoria, lo deve fare con un certo margine di sicurezza. Allora fai che si prendono serie che i più amano così non puoi sbagliare sulla storia; poi mettici che la veste grafica la rinnovi utilizzando le ultime tecnologie e al contempo cercando di contenere i costi per una prima stagione e di verificare l’effettivo ritorno; includici qualcosa che possa sorprendere chè altrimenti è sempre la solita cosa che tutti possono fare e non vieni calcolato. 

Netflix lo fa e lo fa secondo le sue regole. E qui parte la discussione. 


Rifare la serie di Devilman è per forza di cose un rischio: una delle più amate, una delle opere che hanno probabilmente cambiato la storia stessa di manga e anime a partire dal 1972, anno in cui Go Nagai – inchino – dipinge una vicenda che poco ha a che fare con quelle che l’hanno preceduta. Trama, profonde riflessioni, capovolgimento inaspettato di concetti e sicurezze date per acquisite: davvero qualcosa di sorprendente per l’epoca, caratterizzata da una sorta di pessimismo latente in una società Japponica ancora alle prese con le mille incertezze di una sconfitta nel secondo conflitto mondiale e una lenta e ben poco soddisfacente ricostruzione. Pareggiare – o anche solo avvicinarsi - a qualcosa di simile farebbe tremare chiunque. 

Ma non Netflix. Che decide di utilizzare tutto quanto ha a sua disposizione e prende delle scelte molto coraggiose. 

In primis a livello grafico. Disegno molto minimalista che sarebbe a dire pochi tratti e quasi assenza in parecchie scene di fondali; tratti però piuttosto accentuati, secchi ed aspri con forti chiaroscuri e uso di illuminazione al fine di convogliare il significato. Se si cerca colore, qui non lo si troverà; tuttavia – e questo è un gran merito - la grafica è fortemente evocativa del messaggio di incertezza e disperazione che la serie deve comunicare. Stessa cosa dicasi per le animazioni: praticamente assente qualsiasi transizione “arrotondante”, si hanno una serie di fotogrammi in CGI che si susseguono improvvisi. 



Anche dal punto di vista della trama si assiste a qualche cambiamento abbastanza audace. Se il fine dichiarato è quello di ripercorrere il manga classico - per fortuna aggiungeresti: così si arriva ad un finale che l'anime non ha mai avuto -, tutto viene riportato ad una versione moderna, calata nel tempo attuale. L’abbigliamento, l’elettronica, la tecnologia in generale e gli usi e costumi non sono quelli che ci si può aspettare dagli anni ’70: non deve sorprendere così vedere uno schermo al plasma che tanto piace al piccolo Taro, un cellulare a sostituire un telefono a rotella, un rapper con capigliatura semiafro – sì, anche in Giappone ci sono evidentemente - che declina i suoi versi assieme agli amici beatboxers, un uso pressochè continuo di Internet e Social Network e così via. Si assiste pure al cambiamento di qualche personaggio: gente che va – poca – e gente che viene – parecchia -. Compare una seconda Miki non presente nella serie originale, compaiono alcuni altri ragazzi e i demoni presenti sono tutti in grado di presentarsi nella forma umana – caso di Silene e Cain, ad esempio - ; le vicende sono grossomodo le stesse ma vi sono cambiamenti piuttosto rilevanti al fine di aumentare la tragicità oppure avvengono talvolta in contesti leggermente differenti e modernizzati. Così, il piccolo Taro, che nel manga originale rimaneva umano e veniva trucidato assieme alla sua famiglia, qui si trasforma in una sorta di Devilman che finisce addirittura per divorare la madre; straziante la scena del padre - che qui è un americano e non un Japponico e non capisci perchè - che li trova e combatte con se stesso per arrivare alla risolutezza necessaria per ucciderlo non riuscendoci. L’incontro tra Akira e Silene avviene in un bordello, probabilmente improponibile per una serie originale degli anni ’70 in un contesto sociale dalla mentalità comunque più chiusa e sensibile a certi argomenti. Akira si scontra poi effettivamente con Zenon - sfida mai vista nel manga - uscendone vincitore sullo sfondo di un Monte Fuji in eruzione; toccante a livello simbolico appare poi la scena - più e più volte ripetuta - del passaggio di testimone tra Miko, Miki, Akira e Ryo che, unico del gruppo, non lo raccoglie, delineando quindi la sua posizione di avversario dell'umanità; altrettanto lo è pure la scena di Devilman che viene la lapidato cercando di difendere alcuni umani crocefissi perchè ritenuti demoni dai loro simili e versa lacrime - questo concetto della capacità di Akira in versione Amon di piangere come un umano è molto sottolineato nel corso di tutta l'opera -. 

Altro? Sì. La componente horror e splatter – caratteristica costante della “crudezza” dell’opera – non viene lesinata e devi ammettere che l’hai trovata interessante e ben resa; non hai invece molto gradito le musiche in generale che cercano troppo spesso una commistione di sacralità con elettronica moderna, risultando spesso poco orecchiabili e andando a comunicare più una sensazione di pseudo psichedelico che di reale e tragico. 



In conclusione una produzione onesta che certo non inventa niente e modernizza quanto scaturì dalla mente geniale di Go Nagai. Visione sicuramente raccomandabile a chi ama – come il sottoscritto che ha anche dedicato uno speciale ai fumetti – Devilman e lo ricorda pure con nostalgia magari ma non a chi si approccia allo stesso per la prima volta per i quali consigli decisamente la lettura del manga originale ed eventualmente la visione dell’anime.

Devilman Crybaby: bene ma… Devilman Crybaby: bene ma… Reviewed by radish7 on 07:00 Rating: 5

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