Akagi: un Kaiji meno appariscente



Dopo esserti stramazzato tutto quanto sei riuscito a trovare su Kaiji, ti sei un attimino incuriosito riguardo le opere tratte dai manga di Nobuyuki Fukumoto e hai scoperto che a quest’uomo la tematica del gioco d’azzardo piace parecchio: così ti sei pure propinato Akagi (アカギ) manga sul mahjong originariamente dato alle stampe nel 1992 e poi trasposto in anime solamente nel 2005, giusto perché serviva qualche tessera per chiudere la mano. 

Peraltro hai poi persino scoperto che la serie era un sequel – o addirittura una sorta di side story – del manga TEN: anche qui, manco a dirlo, un mondo di scommesse non proprio legalissime con sfondo di Yakuza – la mafia Japponica per chi non frequenti certi ambienti – nel costante filo della sanità mentale e/o fisica. 

Ad ogni modo: cosa fa di Akagi un anime degno di essere goduto per tutti i suoi 26 episodi e non un doppione di Kaiji? Parecchio, diresti. 


Innanzitutto ti piace indubbiamente il mezzo della scommessa; stavolta non si affrontano differenti tipologie di giochi d’azzardo ma il solo Mahjong – in un caso con una piccola variante - andando a scandagliarne gli aspetti del regolamento, della strategia e della fine psicologia fatta di giocate estrose e non comuni per rafforzare a propria mano, bloccare quella dell’avversario in maniera veritiera o finta che sia. Perchè, cosa di cui non avevi la minima idea, come nel classicissimo Texas Hold ‘Em conta quello che si ha ma ancor più quello che si fa credere di avere ed in questo il protagonista è assoluto maestro; ecco perché, pur se non puoi di averci capito qualcosa del gioco in questione, le puntate sono diventate molto facili da seguire. E già così saresti in Richi – ossia pronto per la chiusura -. 

Il protagonista in sé costituisce un altro punto di sicuro interesse. Non è Kaiji, non attraversa montagne russe di sensazioni ed emozioni o almeno non le fa trasparire: freddo come un ghiacciolo in Antartide non cambia mai espressione facciale in 26 episodi. Non importa se ha appena vinto 300 milioni di yen – e siamo nel 1965, quindi equivalgono grossomodo a 3 miliardi, eh – o se sta giocando con 1,4 litri di sangue in meno nel suo corpo: il suo naso prominente, gli occhi aguzzi e la dentatura vagamente da finnico appena andato dal dentista rimangono ferme. Adora rischiare financo la vita ma non adora – cosa che può sfuggire – farlo senza motivazioni oppure almeno garanzia di vittoria e di adeguata contropartita – tipo, giusto per fare le cose semplici, un braccio di un avversario -; non cambia invecchiando, abbia esso 13 o 24 anni. Il “Genio sceso nell’Oscurità” è un gambler mai incosciente al di là di quello che può apparire agli altri; cinicamente e senza alcuna remora giunge al risultato voluto forte di una capacità di predizione psicologica degli avversari e del gioco in generale che travalica l’intelletto comune. 



Di conseguenza anche il disegno complessivo e la parte artistica in generale, pur potendo sembrare esattamente tali e quali a Kaiji, differiscono. Spariscono infatti o sono molto più limitate le deformazioni corporali e facciali per sottolineare gli stati d’animo: al loro posto si fa però sapiente utilizzo di metafore che vengono puntualmente rese visivamente – fiamme che ardono, scheletri che si decompongono, solo per fare due esempi - ; i colori vanno di pari passo rimanendo nel complesso piuttosto freddi e scialbi per poi assumere improvvisa vivacità nei momenti più coinvolgenti; rimane come caratteristica del tratto dell’autore il contorno nero molto accentuato anche se meno che in Kaiji. 

Essendo nel Giappone del dopo guerra in difficile ricostruzione e denso di dubbi sul futuro, gli ambienti stessi non sono come quelli, tutto sommato più moderni, di Kaiij: se il senso del decadimento in quel caso veniva portato essenzialmente con la presentazione di locazioni al limite dell’umana sopportazione o sobborghi cittadini malfamati a far da contrasto alle luci sfarzose delle sale da gioco, qui invece, ovunque si possa volgere lo sguardo, l’atmosfera è pregna di distruzione e precarietà. Sottolineare la situazione del Jappone faticosamente appena uscito dal secondo conflitto non è certo nell’agenda dei produttori e tuttavia riesce davvero molto bene. E l’impressione viene poi acuita nella maniera giusta dalle musiche ed in particolare dalla opening che, aiutata anche dal filmato, mette nel giusto mood della romanticamente disillusa e decadente situazione che l’anime proporrà senza averne visto nemmeno il primo episodio laddove la ending col suo andazzo punk tende a sottolineare la vita al limite, sempre disorganizzata e mai pianificata ma mai senza senso, di Akagi. 

Se rimane il piacere di sopperire alla mancanza di somme adeguate al gioco con penitenze fisiche - in questo caso senza la varietà propria di Kaiji di timpani, dita della mano, gambe ma direttamente con il prelievo di sangue - e se comunque orride e macabre appaiono le attrezzature per le torture – qui una pompa ospedaliera per le trasfusioni che non impressiona meno rispetto ad un marchingegno per spezzare le unghie o per trapanare un timpano – la piccola differenza sta nel fatto che, salvo un paio di casi sporadici di sostituzioni di tessere con giochi di mano simili al miglior Silvan da parte peraltro proprio del protagonista, qui non si bara: il gioco si svolge senza sotterfugi di sorta e solo la propria bravura – oltre alla fortuna – ne determina il risultato. Sempre non si sia Akagi, ovvio: lui rende l’impossibile possibile, l’impensabile realizzabile e spiega pure – impiegandoci anche puntate intere – tutto il suo ragionamento che a momenti risale al tempo in cui Adamo ed Eva erano arrivati nell’Eden. Ok intelligenza, ok memoria, ok strategia: ma sa un tantino di mentally overpowered. Se poi ci si aggiunge anche una lucida pazzia che supera persino quella dei presunti villain, beh, allora sarà chiaro che se si cerca un eroe di marvelliana memoria, puro ed incontaminato, sarà meglio rivolgersi a qualche altro anime. 



Rimangono poi almeno un paio di quesiti al termine della visione. Innanzitutto, la sfida finale non viene conclusa; Akagi vuole proseguire e per rianimare l’avversario che proprio bene non ci era rimasto dopo aver perso quasi 500 milioni di yen, prende il sangue estratto, lo svuota in una bacinella e ci mette dentro persino le sigarette appena fumate in maniera da renderlo inutilizzabile alla ritrasfusione. La risposta arriva comunque: la scena finale mostra Akagi nel 1999 – quindi 54enne – camminare per una strada: il manga TEN ci dice che egli è diventato ricchissimo, boss della Yakuza e che…no, non lo vuoi spoilerare. 

La vera questione è però un’altra: da dove è comparso Akagi quella notte del 1958, 13enne? Si sa che ha partecipato uscendone vivo ad una chicken race – ossia una corsa in auto verso una scogliera in cui il primo a frenare perde – ma della sua provenienza non viene mai detto nulla. 


E qui ti fermi perché hai pescato e… pong, hai chiuso.

Akagi: un Kaiji meno appariscente Akagi: un Kaiji meno appariscente Reviewed by radish7 on 07:00 Rating: 5

Nessun commento:

DomKaneki2015 . Powered by Blogger.