Il filmone: Suicide Club, reti e investigatori



Nemmeno ti ricordi come sei finito a vederlo, però Suicide Club, conosciuto in Giappone come Suicide Circle (自殺サークル Jisatsu Sākuru), un film del 2002 scritto e diretto da Sion Sono, ti ha lasciato qualche sensazione piuttosto contrastante. 

Il tema della pericolosità della rete informatica e più in generale della potenzialità condizionante mediatica non è certo originale e tuttavia la versione fornita da questa pellicola ha qualcosa di abbastanza diverso da quanto hai visto finora e non stai parlando del fatto che, trattandosi di 2002, si trattava abbastanza dei primordi di Internet. 

Dopo questa premessa tutta tesa a dimostrare che non sai cosa scriverci, via coi consueti 5 punti 5 per guardare, non guardare, osservare, non osservare, comprendere, non comprendere Suicide Club. 


1- La trama 

Ossia il punto che volevi saltare a piè pari manco stessi andando a canestro. Perché? Perché non sei affatto sicuro di averla capita. 

Succede parecchio nell'ora e 39 minuti di pellicola e molto spesso vi sono dei salti tra l’una e l’altra scena che lo spettatore medio – come te - fa piuttosto fatica a connettere manco si trattasse di punti senza il numerino vicino. 

In sunto esiste una sorta di Club dei Suicidi di cui non si nulla; si verificano frequenti suicidi collettivi presso scuole, show televisivi ed altri ameni luoghi. Sul caso investiga la polizia Japponica che brancola amorevolmente nel buio per tutto il film nonostante l’aiuto derivante da una informatrice che ama farsi definire come “Il pipistrello” – che usa un bel black Apple Macintosh PowerPC 5500/225 che già nel 1998 era uscito di produzione - e che non ci fa nemmeno una buonissima fine. Sullo sfondo di tutto una tenera girl band di ragazzine dall'età vagamente puerile che cantano ameni e orecchiabili motivetti come “Mail me” – che hai scoperto essere in realtà una cover di tal Haruko Momoi - creando – pensi – una sorta di ipnosi o suggestione collettiva che ha sicuramente a che fare con le morti e che si fanno chiamare in modi parzialmente diversi lungo tutta la pellicola anche se il più comune è “Dessert”. 

Niente, tra investigazioni continue e qualche scena di gore – ci ritorni – sempre apprezzabile, finisce che non si scopre nemmeno la verità ma uno degli investigatori e anche una delle testimoni dichiarano solo di essere “connessi con se stessi”, qualunque cosa questo possa voler dire. E via con le Dessert che cantano quel motivetto che ci piace tanto. 

Di più nin zai. 

2 – Gore… 

Ce n’è ed anche parecchio. 

Suicidi/omicidi a parte, si vedono massaie che si tagliano le dita della mano col sorriso in bocca mentre affettano il formaggio, comici che si ficcano un coltello in gola come chiosa del loro show, gente che si spiaccica al suolo buttandosi da in cima ad una scuola con tanto di spruzzata perfettamente innaturale di sangue, persone che si buttano – ed è la scena di apertura, inizio notevole devi dire – sotto il treno in arrivo sui binari con altrettanto gioiosa pioggia di sangue e pure una pialla usata sulla schiena di una povera ragazza. 

Ma la scena che senz’altro colpisce come manco un destro di Foreman dei bei tempi è quella in cui viene mostrata – e poi svolta pure – una striscia di carne umana con pezzi ciascuno di 10 cm di persone diverse cuciti tra di loro a formare una sorta di spirale avvolta che viene definita “catena”, che contiene parte dei tatuaggi idonei alla risoluzione del caso. 



3 - …e realizzazione tecnica 

Ludica a dir poco. In ogni scena in cui sia contemplato del sangue si vede piuttosto chiaramente che è finto, sia per il colore verso l’arancione che nemmeno il sangue arterioso di un nordico, sia per la totale – e probabilmente voluta – innaturalezza della sua cinetica. 

E questo è nulla: durante la scena in cui gli alunni cominciano a buttarsi dal tetto della scuola, si possono persino vedere di sfuggita operatori che gettano il finto sangue con sapienti secchiate. Cult. 

4- Il personaggio che spacca lo schermo…e pure i timpani 

Ad un certo punto, sia come sia, sembra che una delle protagoniste venga catturata da un gruppo di notevoli spostati in cui però primeggia il capo nonché cantante e chitarrista di grido. 

Tutina con brillantini come nemmeno il miglior Elvis salvo colore nero; capelli ossigenati fluenti come neanche i Cugini di Campagna nella loro edizioni più sfolgoranti; musica psichedelica versione Doors di annata e voce bassa e roca di chi ha fumato la produzione di tabacco dell’Indonesia. Idolo. 



5- La colonna sonora 

Grottesca, per dirlo in una parola. Soprattutto per il fortissimo contrasto tra la dolcezza e malinconia delle musiche e la loro bambinosità – addirittura si arriva a mettere in sottofondo una musica delle giostre – comparate poi alle scene che accompagna. Effetto sorpresa raggiunto. 


E avresti anche finito. Per tutti coloro che vogliono risolvere il caso in maniera un po’ meno equivoca di quanto abbia fatto la polizia Japponica la direzione è questa. Tra l’altro il film dovrebbe fare parte di una trilogia da quel che sei riuscito a capire con le tue ricerche in Internet; tornerai? Se non ti piallano, forse sì.

Il filmone: Suicide Club, reti e investigatori Il filmone: Suicide Club, reti e investigatori Reviewed by radish7 on 07:00 Rating: 5

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