La Ragazza nella Nebbia: un giallo affascinante nelle Alpi



Ti trovi a dover – anzi, voler – scrivere due parole su “La Ragazza nella Nebbia”, prima trasposizione cinematografica di best seller di Donato Carrisi, uno per cui hai già dedicato un convinto post per “L’uomo del Labirinto”.

Di spunti ne trovi parecchi e ti scusi in anticipo se il post sarà un’accozzaglia di concetti ed osservazioni sparse qui e là; nella nebbia probabilmente è finita non solo la ragazza ma anche il tuo cervello dopo la visione. Però giuri che tu non c’entri nulla, ad Avechot non ci sei nemmeno mai stato. 

Pronti? No? E tu vai lo stesso sempre con il consueto formato di 5 punti 5, tanto pratico quanto assolutamente inutile. 


1- La trama 

In un film giallo la trama deve essere convincente e ancor di più lo deve essere la sceneggiatura, ossia, in poche parole, la maniera in cui la prima viene svolta. E qui accade, eccome se accade: puntuale come una funivia del Monte Bianco. 

Nella sperduta cittadina di Avechot, da qualche parte in mezzo alle sperdute Alpi, scompare la giovane sperduta Anna Lou, di sperduti 16 anni. Ad indagare viene chiamato l'esperto investigatore - sperduto- Vögel, che si tira dietro, visto che è più egocentrico di Ronaldo nei suoi momenti di scarso altruismo, giornali e televisioni. I Mass Media si accaniscono pesantemente su Loris Martini, un professore della scuola locale, tanto affascinante quanto squattrinato, che si vuole usare come capro espiatorio. In un turbinio di dialoghi assai tetri e oscuri e azioni assai poco chiare si scoprirà una duplice manipolazione della verità che funziona esattamente come in matematica il - per - che da più. 

Tutta la storia viene poi raccontata da Vogel mentre si trova in seduta con lo psichiatra criminale Flores, il quale nasconde a sua volta un segreto piuttosto sconcertante. 

Si vuole di più? Vedere il film, banda di sperduti. 



2 – La sceneggiatura (spoiler nemmeno tanto mascherati ahead) 

La trama di per sé convince pure ma sarebbe davvero qualcosa di già visto se non fosse per la geniale serie di trovate del buon Carrisi

La sceneggiatura si muove nell'ambientazione ovattata e irreale – ci torni dopo – con delicati indizi talvolta seminascosti che divengono pesantemente rivelatori ad un orecchio - più che occhio – attento; riserva poi una serie di plot twist notevoli uno dei quali sconvolge quello che è lo schema classico della vittima ingiustamente accusata tanto amato da almeno il 90% dei film del genere tramutando al contempo – con un’idea degna di quel capolavoro che è “I Soliti Sospetti” – l’apparentemente innocuo protagonista in pianificatore diabolico e inquietante. 

Un film dove il dialogo la fa da padrone rispetto al puro comparto visivo e dove la mente dello spettatore viene continuamente sballonzolata tra estremi tutti parecchio ansiogeni. 

3- Il contesto 

Molta parte del fascino della pellicola deriva anche dal contesto che Carrisi crea. Scegliendo lo sconosciuto e poco abitato paesello di Avenchot, circondato dalle Alpi, l’autore sconvolge lo spettatore che rimane spiazzato dall'apprendere quanto possa accadere in un luogo che non dovrebbe riservare sorprese ma solo noiosa routine. Introducendo l’elemento dei Mass Media – con in prima fila un paio di giornalisti non proprio inattivi – dona rilievo e grandezza alla pellicola: Avenchot sembra diventare il centro del mondo, un luogo a cui tutti improvvisamente guardano. Carrisi è pure molto abile nel raccontare le dinamiche dei rapporti tra i protagonisti che non rimangono certo – almeno i principali – granitici ma subiscono uno sviluppo costante: l’esempio più calzante è il detective Vogel, che dovrà ben presto ammettere a se stesso e allo psichiatra che non è certo infallibile e imparare così una dura lezione. Tuttavia tutti i personaggi che convergono verso Avenchot presentano di per sé dei motivi di interesse, venendo molto ben caratterizzati: i poliziotti del locale commissariato perlopiù inutili e piuttosto ottusi a rappresentare l’ignoranza del paesino di campagna; l’avvocato senza scrupoli che si vende molto bene riuscendo a ricavare fama e soldi da un caso che di certo, data il suo estremo pratico cinismo, non gli sta a cuore; la giornalista priva di anima che è disposta a tutto per aver uno scoop e non ha importanza alcuna se la cronaca viene artificiosamente coartata; un adolescente nerd che non parla ma sa usare una telecamera che all’inizio sembra accreditarsi come uno dei personaggi principali per poi sparire piuttosto in fretta dalla scena. 

E’ tutto inspiegabilmente strano: il luogo, i personaggi, il contesto – si potrebbe anche ricordare la presenza di una chiesa estremista più volte menzionata ma mai effettivamente mostrata – ed anche in questa stranezza sta indubbiamente il fascino della pellicola. Anche in un ulteriore particolare, però. 


4 - La tipologia: non il classico film giallo 

A cercare di dare uno sguardo nel complesso, quello che forse maggiormente colpisce lo spettatore è “l’impronta d’insieme” della pellicola che appare davvero molto diversa rispetto ai gialli o thriller investigativi cui si può essere abituati. 

Il film procede con esasperante lentezza per buoni tre quarti della sua durata ma nulla ti toglie dalla mente che si tratti di una scelta voluta e consapevole. E’ la maniera in cui si crea inquietudine continua, ingenerando nello spettatore una sorta di urgenza della scoperta che viene puntualmente disattesa e costringendolo così, volente o nolente, a ragionare su quanto già visto e sentito. E’ una sfida per la mente, disseminando nebbiosi indizi facilmente missabili ma concedendosi sonore pause che permettano di rielaborarli mentre il nastro scorre sulla cinepresa. Dall'altro lato, la lentezza contribuisce a creare un contesto che difficilmente si può percepire come reale aumentando l’”esoticità” della pellicola, il senso che quel bel paesino di Avenchot sia quanto di più lontano ed improbabile vi possa essere. 

A differenza dei classici thriller americani, l’azione non è contemplata. Nessuna scena che lascia col fiato in gola, nessun effetto speciale che colpisca l’occhio dello spettatore; l’attenzione deve stare solo sulla trama e sul suo sviluppo e secondo le regole che il produttore ed autore del libro detta. Gli stessi colpi di scena non devono colpire come pugni allo stomaco: piuttosto insinuarsi come piccoli taglietti da cui il sangue non smette di uscire fino al dissanguamento finale. 

Ed è così che contano i personaggi: importanti e caratterizzati abbastanza da essere ricordati ma pieni di conflitti di loro, non certo eroi senza macchia che portano luce nella notte buia, quanto piuttosto umani deboli alle tentazioni che cercano di giustificare sulla base della loro abitudine, quella stessa che dice che non importa se sia giusto o meno, qualcuno deve pagare. Ecco dunque che affrontano una propria crescita personale – specialmente Vogel – che frantuma le loro certezze e le rimastica costruendo scenari nuovi, inaspettati e sconvolgenti. Lo spettatore compie un percorso del tutto simile: dal “ok, è semplice, so come va a finire” si arriva al “wow, non credevo”. 

Lo vuoi riassumere dicendo che l’azione c’è ma è più “interna” ai protagonisti che “esterna”.


5 – Qualche falla 

Che lo consideri un gran bel film credi ormai si sia capito. Tuttavia non è esente da difetti. Alla fine ne citi solo uno: obiettivamente il plastico con cui si usano scene panoramiche per separare i diversi momenti – un po’ alla Twin Peaks – è davvero inguardabile nella sua evidente…plasticosità. 


In definitiva una buonissima visione adatta per chi voglia stimolare un po’ il cervello e non ti sorprende proprio che Donato Carrisi, alla sua prima prova da regista, abbia conseguito il premio David di Donatello nel 2018 e nemmeno un Golden Globe come migliore sceneggiatore assieme a quello come migliore attore per Toni Servillo. La strada per Avenchot parte da qui; portarsi dietro i giornalisti. 

La Ragazza nella Nebbia: un giallo affascinante nelle Alpi La Ragazza nella Nebbia: un giallo affascinante nelle Alpi Reviewed by radish7 on 10:46 Rating: 5

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