L’avevi intravisto in seconda serata qualche tempo fa sulle reti RAI ma solo il finale; per qualche motivo ti è venuto in mente di nuovo, l’hai cercato e anche trovato – per i curiosi: attendere fine post e vietato scrollare senza leggere -. “Pelè: The Birth of a Legend” o per noi italiani semplicemente “Pelè” è un film del 2016 dei Fratelli Zimbalist che narra l’infanzia e l’adolescenza di Edson Arantes Do Nascimiento per tutti “Pelè”.
5 motivi 5 per vedere, non vedere, calciare, non calciare, vincere una Coppa del Mondo nel 1958 o non vincerla.
1- Il contesto
Come sia andata in quei famosi Mondiali del 1958 che consacrarono un ragazzo di soli 16 anni e scossero un paese intero che viaggiava nel dubbio di non riuscire mai a salire sul tetto del mondo col proprio stile dopo il Maracanazo – la sconfitta nella seconda partita del girone finale del 1950 contro l’Uruguay che fece perdere un titolo considerato ormai raggiunto – lo sanno ormai tutti.
Quello che il film dà in più è sia la storia del giovane Tico che diverrà poi Pelè per gentile concessione schernitoria di Josè Altafini – uno che un po’ di storia del nostro calcio la farà pure lui giocando tra le altre in Juventus, Milan e Napoli e poi divenendo uno dei più simpatici telecronisti del nostro calcio – sia tutto quanto costella quei famosi mondiali di Svezia 1958.
Così si potrà capire come Pelè nasce in povertà, figlio di un padre anch’egli più che discreto calciatore salvo poi farsi male e ricevere un bel “grazie, non abbiamo più bisogno di te”; come vivrà nei primi anni d’infanzia mostrando per la prima volta il suo stile “Ginga” ad un torneo in cui lui e compagnia si fabbricano da soli le divise e rubano noccioline per aver perlomeno delle scarpe da indossare – anche se a piedi nudi vanno molto meglio -; come sia uno shock la morte di uno dei suoi amici causa vendetta dei commercianti di noccioline; come sia il padre a fargli superare il blocco con pazienza e perseveranza; come De Brito lo porta al Santos; come il giovane Tico incontra delle difficoltà iniziali allorchè il suo mister vuole “europeizzarlo” come gioco; come arriverà al successo nel Santos; come si svolge infine tutta la storia negli spogliatoi e nel Brasile fino alla vittoria finale.
Uno spaccato intenso in cui il campo rappresenta solo la rivincita finale di un paese confuso e incline a vergognarsi ed abbandonare la propria natura per assomigliare agli Europei fino a farla riemergere prorompente e vittoriosa: il tutto visto con gli occhi di un bambino che diventa poi adolescente – perché Pelè strabilia il mondo a 16 anni, eh -.
2 – La Ginga
Sarà Brito a spiegare da dove origini la Ginga, ossia lo stile di gioco tipico dei Brasiliani. Essenzialmente dagli schiavi negri importati dall’Africa da parte dei Portoghesi bianchi nel 15esimo secolo, alcuni dei quali riescono a scappare nelle foreste; lì inventano un’arte marziale chiamata Capoeira che prevede prevalentemente l’utilizzo delle parti inferiori del corpo – le mani di solito sono ammanettate -. Quando la schiavitù viene abolita, essi possono uscire dalle foreste ma scoprono che la capoeira è stata proibita; di conseguenza vedono il gioco del calcio come la via per continuare ad applicarla, rendendola la Ginga. Istinto, movimenti acrobatici e dinoccolati e tanta ma tanta improvvisazione fantasiosa: esattamente quello che Pelè porta nel calcio dei tempi, confortato peraltro da doti fisiche non proprio comunissime. Va ricordato che il talento non basta e Pelè – e lo mostra anche il film con le pause pranzo con il padre – si allena pure per affinarlo: vero è che a lui le cose riescono comunque piuttosto naturali e sicuramente fa meno sforzi per riuscire di un Torricelli qualunque.
3 – Il Brasile anni ’50: una paese di contraddizioni
Il film non indugia sugli aspetti politici; poco lo fa su quelli sociali del paese Verdeoro – che tale diventerà comunque soltanto dopo il 1950 appunto -. Ma il ritratto è presto fatto: povertà e ricerca di valvole di sfogo di cui il calcio è sicuramente una delle principali, se non la principale. Passione smodata e veracità che emergono davvero benissimo in alcune scene.
Fa rimanere ammutoliti a dir poco quella della piccola comunità dove Pelè è nato che si riunisce attorno ad una radio di cui è peraltro difficile sintonizzare l’antenna per ascoltare la cronaca della finale del ’58: dopo i goal di Pelè il padre guarda i presenti che mostrano dei volti soddisfatti, quasi fossero in paradiso. Non occorrono parole, il messaggio è chiaro: soddisfazione per l’affermazione a livello mondiale della propria parte più vera; superamento di qualsiasi dubbio di essere inadeguati per come si è e felicità per l’emersione della propria natura troppo a lungo mortificata per cercare di somigliare a qualcosa lontano da sè ma che sembra essere corretto quasi per imposizione superiore.
Bellissima poi la scena dello scorbutico e supponente Altafini che dice al giovane Pelè che non gioca non per l’infortunio alla gamba ma a causa della testa in totale confusione: una vita a cercare di essere europeo, tanto da farsi chiamare Mazzola per imitare il grandissimo Valentino del grande Torino, per poi capire di essere sempre stato e di voler essere Brasiliano. Ed ecco che gli scherni di Josè si tramutano in un sorriso compiaciuto e spontaneo, quasi liberatorio, al primo goal di Pelè alla Svezia nella finale. Non da meno quella dell’allenatore Vicente Feola – anche lui di chiare origini italiane – che, di fronte all’ultima riunione con i giocatori del giorno prima della finale, ripudia tutto il lavoro tattico fin lì fatto e ammette a se stesso prima che agli altri che in quella maniera avrebbero perso, dando quindi il via libera all’utilizzo della Ginga una volta per tutte.
E’ l’ammissione e la realizzazione compiaciuta di ciò che si è davvero: il senso di soddisfazione che si accompagna alla felicità di scoprire come non occorra essere diversi e ripudiare se stessi ma ci si possa affermare naturalmente.
4 - Quello vero
Gustoso cameo del vero Pelè nelle vesti di un uomo che si sta godendo una bibita presso l’hotel dove dimora la squadra brasiliana e se la vede rovesciata da un giovane se stesso che ha pensato di ravvivare lo spirito dei compagni proponendo di andare dalla stanza della colazione fino al faro che si trova nel giardino senza far cadere la palla per la gioia del personale della cucina che ci rimedia una bella torta nuziale multistrato spalmata in faccia.
5 - Errorini…
Bello è anche bello ma il film contiene qualche errorino.
Passi pure che Altafini e Pelè da bambini difficilmente sarebbero venuti a contatto visto che vivevano in città diverse – e che quindi la madre di Pelè, a meno di fare ogni mattina qualche bel centinaio di km, non avrebbe mai potuto fare la sguattera a casa Altafini, anche perché nemmenò Josè proveniva da famiglia ricca – ma poi accade che:
- ascoltando la finale del 1950 tutti i brasiliani pregano per un altro goal. Il punto è che pareggiando il Brasile avrebbe vinto la Coppa del Mondo: non si trattava di una finale diretta ma dell’ultima partita di un gironcino a 3 ed era l’Uruguay – come poi accadde – a dover vincere;
- ad un certo punto un commentatore parla di un giocatore durante una partita dei mondiali che avrebbe potuto ricevere un cartellino giallo o rosso. Doveva venire dal futuro visto che i cartellini furono introdotti per la prima volta ai Mondiali del ’70: tra l’altro solo quello giallo mentre si dovettero aspettare altri 4 anni per quello rosso che toccò per la prima volta al cileno Cazsely che prese a pugni il povero tedesco Vogts.
- i più abbienti in Brasile si guardano la Coppa del Mondo alla televisione. Per esserci la televisione c’era anche: peccato che le partite non furono trasmesse se non anni dopo.
Nel complesso un film che si lascia pure guardare: per chi voglia vincere una coppa del mondo recarsi qui.
Pelè, la nascita di una leggenda…per davvero
Reviewed by radish7
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