Per te che sei cresciuto con Resident Evil sulla PS1; per te che hai addirittura dedicato post e post dei tuoi blog a Resident Evil – qui per il primo blog, qui per il secondo -; per te che ti sei visto tutti i film, hai giocato – quasi – a tutti i videogiochi del brand e hai persino avuto il coraggio di riunire qui – post non più aggiornato – i fan movie di questo franchise e di analizzarne tutti i fumetti; per te l’uscita di RE2 remake è stato un momento piuttosto piacevole, praticamente un po’ come se stessi sparando ad un licker con una bella magnum.
E allora via, ci scrivi su qualche parola.
Tra tradizione…
Troppo forte in qualsiasi fan della serie che abbia avuto la fortuna di giocare le prime installazioni di fine anni ’90 la nostalgia per il tradizionale Survival Horror i cui crismi proprio Resident Evil segnò. E se CAPCOM aveva dimostrato di capirlo già con RE7, stavolta non fa proprio nulla per non accontentarli.
Il gioco infatti, sia pure mostrando novità di un certo rilievo – ci torni tra poco – presenta le consuete e care tradizionali caratteristiche del gameplay: macchine da scrivere presso cui salvare i progressi, scarsità di munizioni e di curativi, varie armi – che in questo caso diventano però largamente potenziabili grazie a dei kit da trovare -, chiavi con semi delle carte da gioco sempre necessarie per accedere a luoghi altrimenti non penetrabili. L’inventario – anche qui ampliabile trovando delle apposite borse - viene rinnovato secondo le ultime vesti grafiche ma rimane limitato e sposa il classico stile dello spazio in cui stivare gli oggetti; la mappa di gioco si avvicina a quella di RE7, segnalando quali stanze sono state visitate, quali quelle in cui si è lasciato qualcosa da fare – sia esso un oggetto, un enigma o una azione da compiere – e persino quali chiavi sono richieste; le casse “magiche” in cui si stivano i beni per poi vederli riapparire in altre poste in luoghi diversi sono parimenti presenti.
Anche la documentazione, vero e proprio must di RE e sostanzialmente unica reale possibilità data la scarsità di persone senzienti con cui interagire per ricostruire la storia, rimane ancorata ai canoni classici: files vari, lettere, fotografie – alcune delle quali contenute in appositi rullini da trovare e poi sviluppare nella consueta camera oscura -, diapositive e chi più ne ha più ne metta.
Al di là della nuova e migliorata veste grafica concessa dai progressi dei tempi odierni e dall’ottimo RE Engine, i mostri sono sostanzialmente quelli già conosciuti: zombie, cani, lickers fino ad arrivare al sempre simpaticissimo William Birkin versione Tyrant. Ma con qualche novità di cui parlerai. Anche i personaggi sono quelli salvo che alcuni assumono un ruolo più ampio ed altri vengono introdotti per delle brevissime comparsate.
Ma, soprattutto, l’atmosfera è proprio quella cara del 1997: tra stanze strette, corridoi intasati di nemici, una stazione di polizia agghiacciante nel suo complesso, si muovono Leon e/o Claire in cerca di risposte sì ma più che altro di una via di fuga e sopravvivenza. Anche qui però la grafica ci aggiunge molto del suo e ne parli poi anche dal punto di vista degli intermezzi filmati che cambiano di molto.
Un pilastro portante della tipologia: il backtracking. Esiste ed è anche più marcato rispetto a quello dell’installazione originaria grazie al parziale rifacimento della mappa che rende l’esperienza ben diversa da una semplice rivisitazione di posti conosciuti e alla maggiore scarsità di punti di salvataggio e casse.
La rigiocabilità rimane quella consueta: accanto alle avventure principali di Claire e Leon e ai loro scenari B, esistono come modalità sbloccabili – e non certo semplici da ottenere – le run con Hank e con Tofu. E se finire il gioco in un tempo limite consentiva di aprire il fatidico armadietto della stanza oscura ed accedere a costumi nuovi per i due protagonisti nel 1998, stavolta permette di acquisire munizioni infinite o armi ancora più letali.
Un gioco ben fatto secondo i tradizionali standard del Survival Horror come CAPCOM comanda.
…e miglioramento
Non è difficile capire che i primi miglioramenti riguardano la veste grafica chè l’era dei poligoni è finita da tempo. Essi investono tutte le componenti del gioco, dal gameplay alle ambientazioni e ai modelli dei personaggi, dei nemici, dei mostri. Stavolta non vi sono sfondi pre-renderizzati a dare impressione di terza dimensione: essa esiste davvero ed è tangibile sempre e comunque, donando peraltro una possibilità di interazione con gli ambienti sconosciuta alla fine degli anni ’90.
Si sceglie di tornare alla tradizione con la visuale in terza persona – e, del resto, la prima persona era stata uno dei principali motivi di discussione in RE7 – ma si utilizza la visuale di spalle che, introdotta da RE4, fece storia. Grazie al reale 3D si abbandonano ovviamente le inquadrature con telecamera fissa, geniale espediente anni ’90 per creare tensione ed ansia nel giocatore.
Non che queste sensazioni siano però andate perdute, anzi. Innanzitutto l’illuminazione scarsa contribuisce in maniera determinante all’atmosfera complessiva di inquietudine: i giochi di luce e i chiaroscuri ambientali – quasi completamente assenti nel 1998 causa fondali pre-renderizzati – meglio rendono l’idea di sorta di apocalissi e incertezza nell’incedere che prima veniva ottenuta mediante la telecamera fissa; incertezza che viene del resto fornita anche al giocatore di vecchia data visto che, come già sottolineato, la mappa non è la stessa o almeno non completamente; cambiano alcuni scenari, quelli che vi sono assumono una connotazione talvolta nuova e talvolta più ficcante e alla stessa maniera, pur se alcuni restano, cambiano buona parte degli enigmi. I notevoli miglioramenti grafici contribuiscono poi in maniera eccellente sui modelli, paurosi e da ammirare al limite dello sporcamento degli indumenti intimi
RE ha da sempre poi puntato molto sulle cutscenes e, in parte, sui jumpscares sia sonori che visivi. Non che questo capitolo non li utilizzi; e sempre la migliore definizione grafica conforta alcuni primi piani spaventosi non solo perché repentini e non attesi ma anche grazie alla migliore definizione dei modelli. Le cutscenes sono però diverse rispetto a quelle del 1998 anche in conseguenza del fatto che alcuni personaggi – come il buon Marvin - assumono un ruolo più ampio anziché comparire un paio di volte e poi perdersi per sempre.
Dal punto di vista dello stretto gameplay il gioco introduce un numero maggiore di possibilità sia nella combinazione dei curativi – maggiori miscele di erbe – sia nel potenziamento delle armi - che rimangono grossomodo le stesse – oltre al possibile crafting delle munizioni a partire dalla polvere da sparo; enigmi, come già detto, più vari accanto ai tradizionali; strategie migliorate grazie al reale ambiente 3D che consente non solo di schivare meglio ma anche di azzoppare zombie anziché sprecare colpi per ucciderli oppure di agire in maniera più stealth fidando sulla maggiore interazione con gli ambienti. Quello che ti piace un po’ meno, da buon tradizionalista, sono gli aiutini in game; parli del fatto che tutti gli oggetti notevoli sono segnalati da appositi sbrilluccichii o frecce – mentre nel 1998 si doveva premere il tasto azione praticamente su qualunque cm2 della mappa per trovare qualcosa – e dai checkpoint, autosalvataggi dannazione odierna che vengono introdotti per non frustrare troppo il giocatore. Non disdegni invece la presenza di un menù veloce per l’uso degli oggetti o per il cambio dell’arma: se alla fine degli anni ’90 bisognava per forza accedere al menù principale e quindi in sostanza pausare il gioco, ora l’azione diventa più frenetica e più reale.
E se nel 1998 si poteva pure, almeno nella modalità facile o standard, uccidere tutto quello che passava davanti e liberare tutti i luoghi, ora questo sarà impossibile sia per un quantitativo decisamente più scarso di munizioni sia per la maggiore resistenza dei nemici: anche far fuori il semplice zombie può diventare fonte di sonoro mal di testa e richiedere fino a 12 colpi di pistola. Senza ovviamente parlare del Tyrant/Nemesis che, incubo della graziosa Jill in RE3, qui compare a cacciare Claire: un mostro rallentabile ma non suscettibile di essere ucciso e con la fastidiosa caratteristica di comparire a random dietro a porte o muri, così, tanto per fare bubusettete. Al di là di questo, il gioco stesso suggerisce un approccio diverso dal suo antesignano, introducendo le famose armi secondarie – i coltelli – con cui divincolarsi dalle prese dei nemici: non volendo rendere il tutto troppo semplice, però, sono scarsissimi – e devono per questo motivo essere recuperati dal nemico dopo l’uso – e persino suscettibili di rompersi. Effettuare un headshot è praticamente in buona parte una questione di fortuna anche se si aspetti che il mirino si restringa, segno di maggiore focus e quindi efficacia del colpo.
Alcune particolarità
Se nella versione originale vi erano pochi segreti – tipo una bella foto dei membri della S.T.A.R.S. trovabile dopo aver cliccato un’infinità di volte presso una scrivania – e in definitiva pure poco utili a meno che non si sia del completisti, stavolta la situazione cambia. Sì, esiste la possibilità di trovare una foto di Rebecca Chambers in tenuta scolastica – nella scrivania di Wesker, porcellone – ma soprattutto vi sono 14 Mr. Raccoon che, qualora colpiti e distrutti, permettono di ottenere un alquanto utile coltello infinito.
Siccome poi CAPCOM non aveva fatto abbastanza, nel febbraio del 2019 è stato reso disponibile anche un DLC gratuito “RE: The Ghost Survivor” seguendo un po’ la moda inaugurata con RE7. ne parlerai forse in un breve post a parte.
Conclusioni
E’ un remake? Si, ma non solo. E’ RE? Assolutamente sì. Va provato? Ovvio. Va acquistato? Per forza.
Resident Evil 2: il remake che fa felici tutti
Reviewed by radish7
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