Lights Out - in italiani tradotto come "Terrore nel buio" - è un film del 2016 diretto da David F. Sandberg. Si tratta di un remake del cortometraggio del 2013 "Lights Out", diretto dallo stesso Sandberg. Il film è stato il primo successo del regista incassando qualcosa come 150 milioni di dollari con un budget di soli 5.000.000: da li a poco sarebbe arrivato anche "Annabelle 2: Creation" definitiva consacrazione hollywoodiana.
Come al solito i 5 punti...no, stavolta adotti un atteggiamento più da secondo blog e ne discuti a ruota libera senza segni di interpunzione.
Un concept psicologico
L'idea su cui si basa questo horror - e ancora ti stai domandando mentre scrivi se la dizione giusta non sia quest'horror- è senz'altro molto interessante e, sebbene vagamente ispirata ad altre produzioni, sufficientemente originale.
Una creatura che vive solo nel buio e che scompare letteralmente non appena si abbia luce – visibile, dato che le lampade ultraviolette non la scalfiscono -: molto bene il tutto viene delineato fin dalla sua prima apparizione quando Diana - questo il suo nome - evita di mettere un piede oltre la linea che divide luce ed ombra. Questo non varrà però al povero Paul, padre della poi protagonista Rebecca, la possibilità di salvarsi. E' un incipit che ricorda molto ad esempio The Ring o una dozzina di film simili in cui si parte subito con una vittima che muore dolorosamente giusto per far capire immediatamente la pericolosità della situazione. Peccato che...no, lo dirai dopo.
Successivamente si scopre però che la deriva che il film vuole prendere non è soprannaturale quanto psicologica: Diana era infatti esistita realmente, amica dello stesso manicomio in cui era stata ricoverata Sophie madre di Rebecca, ed era morta a seguito di terapie d'urto criminali che la volevano curare da un caso di incapacità di stare alla luce – fino ad arrivare alla sedia elettrica che le sarà fatale -. Era però rimasta con Sophie come sua sorta di proiezione mentale ed ella l'aveva accettata: in altre parole, era la mente di Sophie stessa a crearla e renderla peraltro nell'oscurità pericolosamente “fisica”.
Tenendo in considerazione che Sophie combatte continuamente con la depressione, si potrebbe pensare a Diana proprio come alla rappresentazione della malattia stessa che fa cadere nell’oscurità e rifiuta qualsiasi luce. Di più: un’amica particolarmente gelosa che non è disposta a condividere la povera donna con altri finendo per ucciderne i due successivi mariti e tentando di fare altrettanto con la figlia Jessica che, dopo essersene andata di casa, torna sui suoi passi anche al fine di salvare il fratellino più piccolo.
Come questa proiezione mentale diventi “fisica” rimane il grosso mistero; come sia possibile liberarsene lo si scopre solo a fine film nella maniera più drammatica possibile.
La parte Horror: discreta e nulla più
Il film è un horror e utilizza molteplici maniere per sviscerarne la componente. Parte piuttosto bene allorchè il povero Paul si trova la gamba graffiata senza nemmeno sapere bene il perché: il mistero contribuisce alla inquietudine, salvo venir svelato nella scena immediatamente successiva, durando più o meno quanto Cassano quando è in forma. Diventa allora la stessa rappresentazione di Diana, sagoma oscura deforme appena distinguibile per contrasto grazie alle fioche luci in quell’ufficio notturno e stretto, a far palpitare un pochettino. Lo farà anche nel seguito della pellicola più che altro perché dimostrerà delle capacità sovrumane quali quella di arrampicarsi sui muri e compiere salti smodati, assumendo sempre più i connotati e le forme di una sorta di Wendigo di questa cosa qui: in sé e per sé, però, passato lo stupore iniziale, non garantirà palpitazioni così smodate.
Contribuiranno sempre e comunque le ambientazioni o meglio forse la regia e le inquadrature che le faranno sembrare sempre anguste e senza vie di uscita apparenti. Quando le cose si fanno bene non occorre per forza utilizzare cantine prive di luci – e qui c’è - o altri luoghi dimenticati dall’essere umano comune, basta anche un semplice vano scale o un piano in cui magari ci stanno persino le tendine modello Prada. La confezione di una buona regia permette così anche di superare la stessa facile tecnica – sempre la solita – dello screamer/jumpscare: a memoria il film ne utilizza mezzo in tutto. Peccato a questo punto che il sonoro renda ancora meno del resto, non sottolineando le fasi salienti in maniera da far sobbalzare dalla sedie.
A ben vedere, tuttavia, il problema non sta nemmeno nella componente squisitamente tecnica o nelle scelte di regia del momento topico, quanto piuttosto nella sceneggiatura nel suo complesso. Il momento squisitamente horror andrebbe infatti preparato in anticipo, montando quando ancora non è giunto un buon senso di inquietudine che poi sfoghi rapidamente allorchè il problema giunge. Questo il film non lo fa, passando da racconti anche abbastanza lenti della situazione dei protagonisti ad azione veloce in un attimo.
Fa paura? Sì, per qualche attimo sì.. Lo fa bene? No.
Nel complesso un film guardabile ma non certo memorabile che sfrutta comunque bene i 5 milioncini di budget anche grazie ad un casting più che discreto. Per chi non teme l’ombra, qui l'interruttore da spegnere.
Lights Out: quando il buio dentro diventa anche buio fuori
Reviewed by radish7
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07:00
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