17 Settembre 2019: una data che sicuramente vorrai ricordare. La italianissima Invader Studio pubblica infatti Daymare 1998, Survival Horror vecchio stampo con una “vaga” somiglianza con un brand storico che poi sarebbe questo qui. Per una ragione.
Nelle intenzioni originarie si doveva infatti trattare di un remake amatoriale di RE2 avviato su una base di un progetto di crowdfounding che non aveva mancato di avere riscontro; accade poi che la stessa Capcom lo noti e chiami i ragazzi presso i suoi Studios a Osaka – viaggetto breve – e, facendo i complimenti, comunichi che al remake ci pensano loro – i termini della comunicazione non sono noti ma ci metti il Nemesis che non siano necessariamente stati così amichevoli -.
La Invader non si perde d’animo e decide di sviluppare a questo punto un Survival Horror che, pur conservando notevoli analogie col progetto originario – e quindi con RE -, sia indipendente.
E…lo fanno bene.
Del gioco – giocone sarebbe meglio dire – ti piace praticamente quasi tutto. L’unica pecca che hai riscontrato, pur dovendo tenere a mente che si tratta di una software house indipendente, sta in certi modelli: ad esempio nel nutrito filmato iniziale le facce dei protagonisti sembrano un po’ troppo squadrate e le loro espressioni un po’ troppo “retrò”. Ma ci passi sopra tranquillamente, pure con un bazooca con granate acide.
Continuando sulla grafica, a parte quanto detto, davvero non delude. Le ambientazioni, le animazioni dei protagonisti – tre giocabili – e dei mostri sono molto ben studiate; i giochi di luci ed ombre sapientemente costruiti; i colori perfetti per comunicare il giusto senso di inquietudine: non saremo di fronte alla magnificenza del remake di RE2 ma di certo c'è di che essere contenti. La grafica è poi essenziale nella costruzione della componente horror; la scelta di seguire lo stile di Resident Evil 4, con il protagonista inquadrato di spalle e a mezzo busto di ¾ sullo schermo, si accompagna ad un campo visivo ristretto, in modo da aumentare il senso di oppressione dell'azione, soprattutto quando si percepisce la presenza di pericoli ancora fuori campo annunciati sovente grazie al sonoro di indubbia qualità. La stessa scelta delle ambientazioni, infine, è una tremenda operazione nostalgia che non può lasciare indifferenti: il laboratorio di ricerca, l'ospedale, il parcheggio, la città, le fogne sono luoghi tutti ben conosciuti a chi si sia avvicinato al mondo del Survival Horror a fine anni '90.
Convince in buona parte anche la trama, adattissima a tutti gli appassionati di RE in generale. Sempre un esperimento con armi chimiche-batteriologiche – in questo caso una sostanza chiamata Pollux e generata da un’altra dal nome Castor -; intere città, come Keen Sight, a costituire il campione testabile – un po’ sfuggito di mano ed un po’ confortato da una botta di fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, gentilmente concessa dalla natura nella forma di piacevoli meduse -; sempre una multinazionale farmaceutica - stavolta la Hexacore Biogenetics appoggiata dal governo americano che ha sfruttato però quanto portato a fine Seconda Guerra Mondiale dalla Japponica Kunorusu, desiderosa di vendicare il suo paese dopo l'umiliazione della bomba atomica -; sempre una squadra di militari chiamati a gestire la situazione – qui si chiamano Hades -; sempre un centro ricerche da cui recuperare un virus, una città da cui fuggire, dei superstiti da possibilmente salvare – o anche ammazzare direttamente chè oh, meglio cancellare le tracce -. Sa di RE? Sì, ma la ragione la sapete. Anche la maniera in cui viene sviluppata riporta a RE: documenti quasi interminabili da recuperare e leggere; comunicazioni radio improvvise durante il gameplay; scoperte visive - frequenti i file criptati - nel corso dell’esplorazione; infine audio logs o video da recuperare per godersi comodamente nel proprio DID. Assomiglia a RE? Sì. Piace? Molto.
E si arriva così al gameplay per il quale non ti dilunghi molto in quanto le dinamiche sono quelle classiche di un qualunque Resident Evil dopo il 4 salvo avere qualche novità piuttosto interessante sia pure non originale. Ti riferisci ad esempio al fatto che l’inventario, la salute, i documenti, la mappa e quant’altro sono tutti accessibili tramite un palmare - denominato DID - situato su una delle braccia dei protagonisti un po’ alla maniera del Pip Boy di Fallout e un po' tipo Magic Glow di Nintendiana memoria salvo che questo funziona per davvero; da esso sarà possibile effettuare il consueto limitato crafting delle munizioni e dei curativi – che qui non sono le classiche erbette quanto piuttosto vari tipi di liquidi -; in più diverrà essenziale per rivelare la presenza di porte altrimenti nascoste alla vista. Piccola novità sta nel fatto che i caricatori vano centellinati: non sono facilmente trovabili e le munizioni – invece agevolmente reperibili, nella modalità principiante almeno – non possono essere usate da sole. Il tutto va parametrato a due possibilità di ricarica: lenta – che prevede la conservazione del caricatore – e veloce – che prevede invece di gettare il caricatore anche se risulta poi recuperabile dal luogo in cui è stato lasciato come un qualsiasi oggetto – compatibilmente con la situazione in cui ci trova – l’assalto degli zombie e la sua entità possono essere degli elementi determinanti -. Interessante appare la scelta di brevi tutorial che vengono proposti in maniera scritta al primo compimento della specifica azione così come – con impostazione tipica degli FPS moderni che si riscontra anche nella schermata che va tingendosi di rosso in corrispondenza della perdita di salute del personaggio – la possibilità di assegnare alcuni oggetti al menù delle azioni veloci, per rendere ad esempio immediata l'estrazione delle armi o l'utilizzo della torcia elettrica. Ovviamente l'inventario è limitato visti i pochi slot disponibili al polso; al posto delle tradizionali casse nelle stanze sicure qui si hanno dei terminali tipo bancomat posti in luoghi relativamente allietati dalla classica musichetta di sicurezza che consentiranno anche di salvare i progressi essendo i salvataggi automatici disponibili solo alla fine delle varie missioni di cui si compongono i 5 capitoli. Altro particolare che hai notato è la presenza di caricamenti da una sessione all'altra mascherati con delle schermate di riassunto di quanto appena giocato: probabilmente non tecnicamente necessarie ma riportano alla mente le porte di RE. Altra interessante complicazione nasce dalla presenza di statistiche – e conseguenti oggetti per modificarle temporaneamente o in via definitiva – sconosciute ai precedenti RE: la stamina e anche l’adrenalina, abusare della quale potrebbe comportare delle conseguenze non proprio positive. In corrispondenza vanno ovviamente i curativi che assumono qui la parvenza di vere e proprie medicine al di là dell'essere dei semplici "kit primo soccorso" o "spray medici".
Gli zombie appaiono piuttosto coriacei: possono volerci anche 5 colpi pur rimanendo la possibilità di un headshot a risolvere la situazione. Il sistema di puntamento, per aumentare la difficoltà, non appare particolarmente agevole a meno che non si scelga la mira guidata: decisamente l’avventura non sarà una passeggiata anche dato il fatto che, a differenza dei tipici zombie romeriani di RE, sono lenti ma con scatti improvvisi e hanno la fastidiosa tendenza a sputare veleno che influisce sulle statistiche del protagonista anche a lungo termine. Se in RE vi erano maniere di affrontare i mostri che esulavano dalla forza bruta a colpi di arma da fuoco – sicuramente schivare ma anche usare l’ambiente per aver la meglio del nemico come nel caso della piantona zombie di RE1 oppure del coccodrillone di RE2 -, queste meccaniche si potranno trovare anche in Daymare 1998: ad esempio sconfiggere il primo miniboss sarà tremendamente agevole una volta scoperta la sua fragilità all’acqua. La varietà dei modelli forse non è il forte di Daymare ma ti fai tranquillamente bastare gli zombi classici, i più forti Melted Man e i vari miniboss che però non sembrano tuttavia particolarmente complicati da abbattere così come non lo è in realtà nemmeno il boss finale. A complicare l'esperienza, i vari nemici hanno una fastidiosa tendenza a comparire all'improvviso da fuori campo con veri e propri allunghi a sorpresa che non possono proprio non cogliere impreparati anche qualora si masterizzi l'uso della ben congegnata telecamera.
Piacciono poi gli enigmi che ripercorrono tutti i generi a cui gli appassionati di RE sono abituati. Così si potranno trovare serrature da forzare tramite un minigioco che richiede di fermare due barre semoventi al momento giusto; quadri da esplorare al fine di decifrare la giusta parola da immettere poi come risposta a domande su di un computer per riattivare la corrente; lucchetti con combinazione numerica da scoprire analizzando gli ambienti; fili da riallacciare o tubazioni da disporre nella giusta maniera in quadri elettrici o idraulici; libri da disporre nel giusto ordine; porte nascoste da scoprire. Varietà a parte, gradevole risulta pure esserne la complessità: non si risolvono infatti da soli, pure non essendo particolarmente difficili.
Molto ricco il capitolo delle armi che vanno dalla classicissima pistola fino al fucile a pompa e alla magnum; in corrispondenza ben pensato appare pure il crafting delle munizioni possibili. Delude invece l'attacco corpo a corpo che, oltre a sortire gran pochi danni, allontana di gran poco il nemico.
Infine che l'operazione nostalgia sia voluta non lo si nasconde proprio: un'attenta osservazione degli ambienti infatti permetterà di scoprire riferimenti di tutti i tipi. Così non dovrà sorprendere vedere una Delorean, una scritta "il V Jolt è la chiave", un flipper di Terminator, un bambina con libro di fisica quantistica in mano come in Man in Black: solo alcune menzioni, eh, la lista sarebbe davvero lunghissima. In tutto questo, come grazioso Easter Egg, ad inizio Cap. 3, gli autori inseriscono una serie di locandine dei più famosi film e videogiochi mettendo le loro facce al posto di quelle dei protagonisti.
In definitiva? Un giocone e pure senza assumere sostanze chimiche particolari. E molto probabilmente non sei ancora uscito da Keen Sight e tornerai.
Daymare 1998: un Survival Horror italiano coi fiocchi e gli zombi
Reviewed by radish7
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